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mercoledì 7 marzo 2012

U cappularu e i doposci

In macchina verso un week-end sulla neve mi trovo a parlare con mio padre di tutto e niente. Chiedo: Papà, quando hai visto la neve per la prima volta?
Inutile dire che si è perso in un flashback lungo 120 km.
- Figurati se mi ricordo la prima volta che ho visto la neve! Quando ero piccolo io nevicava ogni anno, da novembre a marzo c’era sempre la possibilità che improvvisamente il paese si ricoprisse di bianco. Una volta anche per il 3 maggio ha nevicato, uno spettacolo.
- E non era un problema per andare in campagna?
-Certo che sì. Ma il lavoro è il lavoro e ci si armava di santa pazienza e di cappularu e si andava in campagna come ogni mattina. L’unica differenza erano i piedi che tornavano tutti bagnati e freddi. 
-Perché? E cos’è u cappularu?
-Perché non c’erano i doposci che usi tu. U cappularu è il mantello con il cappuccio che vedi al nonno, ti copre dal vento e dal freddo. I cappotti sono arrivati dopo, negli anni ’70. 
-E la nonna si preoccupava come si preoccupa adesso quando dobbiamo salire e nevica?
-Eh beh, certo. Però lì c’eravamo abituati. La neve per noi ragazzini era un divertimento, per i grandi no. Era solo un fastidio, però ci si conviveva. Non c’era tutto l’allarme di oggi. Nevicava e basta, ci si adattava come si poteva. 


Se guardo la tv oggi è pieno di speciali su quanto la neve sia difficile da gestire e penso a mio padre, a quello che mi ha raccontato e sono contenta. Sono contenta di conoscere una realtà in cui la neve viene presa per quello che è e sono contenta di passare un finesettimana diverso dagli altri. Probabilmente chiederò a mio nonno u cappularu, ma porterò i miei doposci.

Antonella Piscitello

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