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mercoledì 25 gennaio 2012

Mi ricorda qualcosa...

1984” è un romanzo di George Orwell, un capolavoro della letteratura moderna
che mostra in maniera vivida la vita all’interno di uno stato autoritario.
Ambientato in un futuro prossimo, nel 1984 appunto, narra di un mondo
diviso in tre stati (Oceania, Eurasia ed Estasia) e dominato da un Grande Fratello, potere onnisciente, mai visto di persona da nessuno, che riesce a controllare e a spiare i propri cittadini. Il regime totalitario infatti si pone come obiettivo primario quello di un
assoluto controllo di tutte le emozioni, dei pensieri e perfino dell’inconscio dei propri sudditi attraverso una dittatura mentale.

Affinché ciò possa avvenire, il Grande Fratello deve prevenire l’opposizione mediante la limitazione delle capacità intellettive: cosa che diventa facile da ottenere grazie ad una lingua che non consente di esplicitare il pensiero del singolo individuo. E così un ministero apposito, quello della Verità, con un lavoro intenso sostituisce lentamente la lingua in
uso con una nuova che consentirà la realizzazione degli obiettivi del partito.
La censura di libri e giornali non in linea con gli ideali di quest’ultimo
sarà all’ordine del giorno, così come l’alterazione della storia, ma cosa ancora
peggiore, le possibilità espressive della lingua si ridurranno drasticamente: termini su termini verranno aboliti fino a quando questa progressiva
sottrazione di vocaboli limiterà del tutto l’espressione di idee e concetti. Se
l’uomo non avrà più parole per discutere e quindi riflettere non potrà neanche
spiegare la motivazione della propria sofferenza né l’oggetto del proprio odio,
che si tradurrà in un rancore indefinito. Vi è dunque una stretta relazione tra
linguaggio e pensiero, pensiero che diviene impossibile se nella propria lingua mancano vocaboli e verbi, se rimangono soltanto sillabe prive di concetti.
Il risultato è una massa di gente omologata, impossibilitata ad esprimersi, ad
opporre resistenza e, al contrario, costretta a comportarsi in ugual maniera: insomma una folla di persone vestite tutte allo stesso modo, che vivono le loro insulse
vite ad occhi chiusi, accettando qualsiasi cosa si dica loro essere vera. Il protagonista, invece, cercherà di opporsi a questo progressivo annullamento dell’individuo e delle sue facoltà intellettive, agendo in modo contrario rispetto ai principi del “socing”, tentando di scrivere un proprio diario nel quale esprimere il suo profondo odio nei confronti del partito e ricostruendo minuziosamente il passato. Egli è infatti l’unico che in una folla di automi sia in grado di ricordare, di pensare e di rendersi conto che “due più due fa quattro e non cinque”. È chiaro che nel romanzo tutto viene estremamente enfatizzato, ma ciò che deve
far riflettere è come un libro scritto nel 1948 possa essere attuale anche nella
nostra società. Una società in cui annullamento di sé e assopimento delle
coscienze sono dietro l’angolo.
Questo libro è così angosciante e devastante da indurci  a riflettere sulla situazione
precaria nella quale viviamo: da una parte sulla possibilità di credere alle “non
verità” degli altri e quindi omologarsi, dall’altra sulla possibilità di reagire.
Elisa Vitale

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